La politica ai tempi dei social

Ma voi ve lo ricordate quando su Instagram c’erano solo foto di gattini, panorami e tazze di the? Certo, è per esemplificare, ma avete capito. Sembra una vita fa, e invece era solo (?) il 2019. Tre anni dopo usiamo Instagram per altri mille motivi, non più legati (solo) ai gattini. Secondo il Digital News Report del 2021, infatti, Instagram ha superato di gran lunga Twitter come mezzo di informazione e, più in generale, le piattaforme online sono il principale veicolo di notizie per gli italiani (si parla di un 76% contro il 18% per i giornali cartacei). Internet e i social sono ormai la nostra finestra sul mondo, mentre il cartaceo rimane uno sfizio dei più affezionati.

Non ci stupiamo quindi se il conflitto in Ucraina, la guerra in Afghanistan o la crisi palestinese dominano il nostro feed. E non ci meravigliamo quando, immersi in tutta questa massa di contenuti molto duri e concreti, ci sentiamo un po’ in difetto nel postare la foto del nostro gattino (anche se spero decidiate di farlo comunque). È un bene? È un male? Ci arriveremo, ma intanto seguitemi in un altro ragionamento.

Abbiamo detto che è cambiato il mezzo tramite il quale ci informiamo, ok. Ma i soggetti che fanno informazione sono rimasti gli stessi? Mi spiego: su Instagram (o su qualsiasi altro social) consumiamo i contenuti online delle stesse testate di cui prima acquistavamo i giornali cartacei? Non proprio. O almeno, non solo. Con sempre maggiore frequenza, infatti, personalità estranee al mondo del giornalismo o della politica offrono sulle loro piattaforme social contenuti informativi, politici. Ci riferiamo, in particolare, agli influencer, una categoria molto variegata all’interno della quale troviamo un po’ di tutto: cantanti, attori ed attrici, personaggi televisivi, sportivi e sportive e via dicendo. Questi soggetti, forti del proprio rilievo mediatico, sempre più spesso prendono posizione su cause politiche e sociali, avvicinando inevitabilmente la propria community al tema in questione. Pensiamo alla diretta di Fedez con Alessandro Zan sul ddl Zan, o alla sua campagna, insieme a Chiara Ferragni, per i referendum sulla cannabis e sull’eutanasia. Oppure ancora, alla presa di posizione di Aurora Ramazzotti sul cat calling, o alla diretta dell’Estetista Cinica con Carlo Calenda.

A denominare questo fenomeno ci ha pensato Lorenzo Pregliasco, analista, professore e fondatore di Quorum/YouTrend, coniando il termine “politica Netflix. Per capire che c’è di nuovo in tutto questo, però, dobbiamo fare un passo indietro.

Non è la prima volta, infatti, che personaggi famosi mettono a disposizione di una causa politica o sociale la propria notorietà. Ad esempio, voi lo sapevate che Gerry Scotti è stato senatore per il Partito socialista? O che Paolo Villaggio si è candidato con Democrazia Proletaria? E non so se avete mai visto la celebre foto di Roberto Benigni che prende in braccio Berlinguer, segretario del Partito Comunista. Se ci pensate, c’è qualcosa che accomuna tutti questi esempi: la causa, che poi è il partito. Ed è qui che sta la differenza. Se gli “influencer” del passato mettevano il proprio successo al servizio di un partito e di un’ideologia, quelli del presente hanno perso la visione di insieme. È la c.d. issuification della politica: la mobilitazione e l’esposizione degli odierni influencer è legata a questioni molto specifiche e puntuali, e prescinde da un’agenda politica. Per riprendere gli esempi di prima: il ddl Zan, la legalizzazione della cannabis, la depenalizzazione dell’eutanasia, il cat calling, e via dicendo.

La frammentazione in singoli temi del dibattito pubblico ci permette di selezionare gli argomenti che più ci interessano ed ignorare la visione di insieme. È proprio questa possibilità di selezione a mancare, quando ci stanno di mezzo manifesti di partiti ed ideologie. Mi sta a cuore la questione ambientale, ma non mi frega molto della riforma delle pensioni? Semplice, andrò a leggere quel post che ne parla e seguirò il profilo Instagram che se ne occupa. Mi interessano i diritti civili, ma di catasto proprio non ne voglio sentire parlare? Andrò a recuperare, perché no, proprio quella diretta tra Fedez e Alessandro Zan. Si tratta di un circolo vizioso in cui chi si espone, come gli influencer, lo fa su temi molto specifici, mentre chi consuma, come noi, può comodamente attingere da un “menù” di temi e contenuti sempre più specifici. Ormai informarci è come scegliere un film su Netflix: filtriamo, selezioniamo, e individuiamo quello che più ci interessa vedere. Politica Netflix, appunto.

Se questi cambiamenti nella nostra “dieta mediatica” siano positivi, non possiamo ancora dirlo con certezza. Ma una cosa la sappiamo: siamo sicuramente tutti più informati. L’informazione ci raggiunge anche se non vogliamo, e questo ci rende più coscienti di quello che succede intorno a noi. Ma in che misura? Ognuno di noi, facendo “zapping” nei nostri feed social, può scegliere il grado di approfondimento da dedicare a un singolo tema: un podcast, una diretta, un semplice post o una storia, un articolo. Questa possibilità influenza la qualità delle informazioni che assimiliamo e il rischio, alla fine, è quello di iper-semplificare tematiche che richiederebbero un approfondimento maggiore. Insomma, informazione e conoscenza sono due cose diverse, ed è importante tenerlo presente.

D’altra parte, però, del buono c’è: questo modo di comunicare le notizie e il coinvolgimento di attori “non convenzionali” avvicinano un maggior numero di cittadini, soprattutto quelli più giovani, alle questioni politiche e sociali. Considerando che la politica, alla fine, è ciò che regola il modo in cui viviamo insieme, interessarsene è il primo passo verso una partecipazione più attiva. E chissà che in questo senso la quantità, pur non superando la qualità, sia comunque qualcosa da apprezzare.

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