Per un nuovo Bauhaus europeo

Presi come siamo dalle vicende del Recovery Plan, può esserci sfuggita una notizia. Una piccola notizia, in apparenza. Forse ignorata proprio perché indica come i problemi oggi non si possono affrontare solo nel chiuso delle stanze del governo.


Mentre da noi si fanno trapelare con infinita cautela le informazioni su come verranno spesi i fondi europei destinati al programma di ripresa, come se fosse un tema che riguarda solo pochi tecnici e qualche esponente di governo, la presidente della Commissione europea ci ha ricordato che ciò di cui abbiamo bisogno è una visione più ampia, che poggi su un dibattito culturale capace di interrogarsi su alcune questioni fondamentali.

L’occasione si è presentata con il lancio di una nuova iniziativa, concepita di pari passo con Green Deal e Next Generation Eu. Un progetto per diverse ragioni sorprendente, perché annunciato nel mezzo di uno dei periodi più complicati della recente storia europea, quando ancora non si sa come e quando verremo fuori dall’emergenza pandemica. E perché è molto distante dall’immagine algida che nel tempo si è formata delle politiche comunitarie, come terreno di azione di circoli di tecnocrati che non tengono in gran conto il consenso delle popolazioni su cui fanno calare le proprie direttive.

Ursula von der Leyen a metà ottobre ha preso carta e penna. Ha scritto un articolo, ripreso da molti media europei (salvo in Italia, naturalmente) in cui ha spiegato che lanciare un robusto programma di investimenti sui temi della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione, come pilastri della futura strategia di sviluppo, è una gran cosa per l’Europa ma non basta.

Serve qualcosa di più di un progetto ambientale ed economico. Il Green Deal europeo deve diventare anche un nuovo progetto culturale, anzi — così si è espressa — ha bisogno di un movimento di pensiero. Le persone devono percepire, vedere, fare esperienze della svolta verso la sostenibilità, e non semplicemente leggerne come se riguardasse solo un proclama politico o un piano industriale. Occorre che venga percepita la dimensione che questa scelta comporta per la vita concreta, per gli spazi in cui viviamo. Serve dimostrare come l’esistenza di milioni di persone ne può trarre giovamento.

L’idea, sorprendente, è che per un progetto che non parli solo di infrastrutture e tecnologie all’Europa serve un nuovo Bauhaus.

Proprio così: Ursula von der Leyen ha ripreso a modello l’esperienza vissuta un secolo fa, proprio in Germania, da un gruppo di intellettuali che comprendeva architetti, artisti, designer, artigiani, tecnologi, scienziati e ingegneri. Dal 1919, anno in cui Walter Gropius gettò le fondamenta a Weimar di una scuola di arte e design industriale, fino al 1933, quando il regime nazista ne provocò la chiusura, il Bauhaus è stato un innovativo esperimento formativo, una corrente di pensiero e un influente movimento internazionale che è stato a lungo un riferimento per il razionalismo e il funzionalismo moderni. Tra i suoi protagonisti ha avuto personaggi come Paul Klee, Mies van der Rohe, Wassily Kandinsky, Marcel Breuer, Moholy-Nagy, con un impatto che si è esteso da Berlino a Chicago, e oltre.

Al centro, l’idea di lavorare sulla transizione industriale del XX secolo ideando un approccio alla produzione di massa in grado di combinare valori estetici e saperi artigianali con le sfide sociali di quel tempo. Formando ad un pensiero creativo capace di misurarsi con le esigenze di una nuova società, all’incrocio tra tecnologia e cultura, attraverso la progettazione di architetture, arredi e oggetti di uso comune. Tenendo conto del valore dell’estetica, e generando uno stile capace di farsi movimento culturale, per orientare l’evoluzione tecnica in base ad una comprensione delle esigenze delle persone e delle comunità.

Un secolo più tardi, la presidente della Commissione europea ci dice che dobbiamo affrontare una sida simile. All’interno di uno scenario cui si sono aggiunte side globali come un cambiamento climatico impossibile da ignorare, la trasformazione accelerata della demografia mondiale, l’incognita di tecnologie di intelligenza artificiale sempre più autonome rispetto all’intervento umano.

Il progetto di un “nuovo Bauhaus europeo” ha appunto questo compito: ricordarci che, se non si vuole perdere di vista il fine ultimo del benessere umano, serve una sintesi nuova tra sviluppo economico, sostenibilità ambientale e sociale, e una nuova estetica che interpreti questo cambiamento sistemico.

Il punto, dice Ursula, è che: «We must rethink and replan. And Europe can and must play a leading role in this». Lo dice all’Europa, ma vale anche per l’Italia. C’è qualcuno che porrà ascolto alle sue parole?

di Gianluca Salvatori. Articolo pubblicato su Vita.it (gennaio 2020)

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