“Ah felicità, su quale treno della notte viaggerai, so che passerai ma come sempre in fretta, non ti fermi mai” cantava Lucio Dalla, esprimendo credo il senso più profondo della felicità. Che esiste, viaggia, passa.
Felicità è una parola talmente usata che sembra debba essere concreta, trovarsi nell’aria, spettare a tutti, esserci e non andare più via. Se penso a lei nel modo più ancestrale ed emotivo possibile, penso a quando da piccola mi ripetevano che felice lo sarei stata a tutti i costi, costantemente.
E chissà a quanti di noi è stato insegnato questo, chissà perché questa profonda illusione della felicità che arriva e non se ne va sembra così imprescindibile nelle nostre vite, anche da adulti.
La felicità è l’aspettativa più dannosa e fittizia che ci sia e, attenzione, con ciò non voglio esprimere uno sterile nichilismo da figlia delle crisi del terzo millennio. Penso però che abbiamo un po’ tutti assorbito un concetto in modo malsano e fuorviante, davvero già da piccoli, e adesso ne paghiamo a caro prezzo tutte le conseguenze, nessuna esclusa.
Poiché ci siamo sempre aspettati che saremmo stati perennemente felici, come ci avevano promesso, adesso che non lo siamo sempre ci convinciamo che non lo siamo mai.
Essere felici nell’era contemporanea
Certo, sicuramente una serie di contingenze sociali attuali ci stanno dando una gran mano a fossilizzarci in questo pensiero, e spesso la voglia di credere in momenti migliori passa la palla alla voglia di far scorrere il tempo con un pizzico di inerzia e poche aspettative.
Però quella frase (forse stra-abusata) che dice “quando sei felice facci caso” porta con sé un bel po’ di ragione. Perché ci hanno illusi che la felicità fosse una cosa gigantesca, che quando c’è la vedi proprio, è tangibile perché si ripercuote in quello che hai, è visibile perché si esprime in quello che vedi intorno. Chiaro, queste sono tutte forme di felicità.
Ma concepirla così non basta, è fuorviante e illogico.
E forse non è così tanto una frase fatta che la felicità stia nelle piccole cose, quelle che quando ci sono nella tua quotidianità non ti fanno pensare alle cose negative, quelle che ti allietano un giorno o anche solo un’ora.
Penso spesso a quanto io sia stata felice, in percentuale, rispetto a tutte le altre condizioni emotive esistenti. Provo sempre a fare un bilancio, ma la verità è che la felicità, spesso, si trova in cose che non hanno a che fare con il tempo, né con la permanenza.
E allora cosa è per me la felicità?
Sentire che il sole finalmente riscalda, sapere che dopo una lunga giornata andrò a cena con le mie persone preferite, abbracciare mia madre e sapere che sta bene, vederla sorridere, vedere il mare per la prima volta dopo un lungo inverno.
La felicità è sentirmi amata, anche solo per un istante, dire qualcosa che fa ridere la persona che mi ascolta.
E così capisco che non va cercata, non va ossessionata per far in modo che sia presente nella nostra vita, va rispettata come una persona, vanno rispettati i suoi tempi e le sue dinamiche.
Come quando amiamo qualcuno. Abbiamone cura, non siamo egoisti.
Quanta responsabilità le abbiamo dato, e continuiamo a darle ogni giorno; la aspettiamo e la odiamo se non arriva. Continuiamo a stressarla e a stressarci, senza renderci davvero conto che queste aspettative sono vacue e controproducenti.
Al tempo stesso è difficile armarsi di fiducia verso i piccoli momenti di felicità, consacrandoli per quello che rivestono, per quanto brevi e per quanto apparentemente piccoli.
Io, ad esempio, mi rendo conto solo dopo di quanto sia stata felice in un determinato momento in cui assolutamente lontana mi sembrava la felicità. Che peccato, che spreco di gioia.
La felicità è un insegnamento forse un po’ molesto, è un concetto che ci viene imposto e somministrato a forza, come un cucchiaio di passato di verdure quando siamo bambini e non vogliamo mangiare tutto ciò che è verde.
Se ci avessero insegnato, infatti, che la felicità è un po’ come le giornate di sole, che vanno e vengono, che ci illuminano un po’ ma a volte devono lasciar spazio alle nuvole, forse avremmo anche meno aspettative e, soprattutto, ci colpevolizzeremmo tutti meno per non averla ottenuta come pensavamo di dover fare. E sarebbe meno frequente dannarsi e condannarsi ancora e ancora.
Credo che sia importante recuperare il senso dell’infelicità, senza demonizzarla, prendendola di petto. Senza incolpare noi stessi perché c’è, è lì e ci assilla.
Forse dovremmo concederci una tregua, concederla ai momenti bui. Solo così possiamo davvero apprezzare quella felicità che sta nelle piccole cose.
Amiamo le contingenze, qualunque ruolo e tempismo abbiano.
Noi siamo le stazioni dove passano tutti i treni.
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